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Il Gange può ancora riparare i nostri peccati?

21.03.2019

LOGBOOK 22 #GANGE

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Questo signore, magro, dal viso un po’ stanco, ma dal temperamento molto energico si chiama Das. Stamattina l’abbiamo sentito cantare una raga, un’antica melodia improvvisata tipica dell’India. Era come se cantasse per attirare la nostra attenzione perché quando ci siamo avvicinati per curiosare e capire meglio chi fosse non sembrava molto sorpreso. Era seduto su una vecchia poltrona, in una stanza di questo altrettanto vecchio palazzo stile coloniale convertito a hotel e la sua voce ne riempiva ogni centimetro quadrato.

Ex manager per un’impresa di costruzioni, oggi è un pensionato in vacanza con la sua famiglia. Ormai per approcciare e creare conversazione con le persone seguo una strategia abbastanza fissa: comincio con il parlare un po’ di me e della ragione che mi ha portato sul Gange e quando ho creato un po’di confidenza lascio che siano loro a parlare.

Gli chiedo cosa ne pensa del problema dell’inquinamento del Gange. “Vedi, il problema è che l’induista venera Dio aspettandosi che questo atto di fede gli assicuri il paradiso, ma per il resto non fa nulla. Non gli importa di nulla: delle altre persone, del posto in cui vive. Niente, è molto individualista. Si prende cura di ciò che è dentro casa sua, ma non ha interesse per ciò che c’è fuori”. E poi dice una cosa che sono costretto a chiedergli di ripetere perché mi coglie talmente impreparato che alla prima stento a credere a ciò che ho sentito, lui se ne accorge immediatamente, si risistema sulla sedia, punta i gomiti sulle ginocchia e la sua voce si fa più decisa:

“Non credo in Dio, l’unica cosa in cui credo è che sono solo io con le mie azioni che mi posso assicurare un posto in paradiso. Non posso aspettare che sia Dio a venirmi a salvare, mi devo salvare io con azioni quotidiane”.

Per la prima volta ho la sensazione di parlare con un uomo che avendo vissuto così a lungo senza aver visto alcun cambiamento, ha perso quella speranza sul futuro “che tutto si sistemerà” tipica dei tanti indiani che ho incontrato fino ad ora.

“Che futuro c’è  per l’India se ancora si crede che il Gange possa riparare tutti i nostri peccati e le nostre malefatte, senza fare alcunché. Lo ha visto anche lei”, mi dice, “visitando le città e i villaggi lungo il Gange: c’è molta gente senza istruzione che a causa di questo non ha un lavoro e senza lavoro non ha un futuro. Ciò che gli rimane è unire le mani a scodella e versarsi l’acqua del Gange sulla fronte.” Inizio a comprendere il senso profondo delle sue parole perché l’ho visto con i miei occhi.

Sulla mia strada ho incontrato ragazzini e adulti disconnessi da ciò che c’è oltre quello che i loro occhi potevano vedere e sentendomi dire che volevo andare a Calcutta sulla mia zattera la loro riposta era sempre “E’ lontana Calcutta”. E se è lontana Calcutta, quanto deve sentirsi lontana questa gente da un futuro migliore, dal comprendere i meccanismi dell’universo, le leggi che governano la natura e che non esiste un pianeta alternativo al nostro. E poi che forma ha questo pianeta? 

Ascolto in silenzio, credo che voglia dire ancora qualche cosa, ma da una porta dietro di lui esce una bimba di quattro o cinque anni. Mi dice che è sua nipote che gli chiede di raggiungerlo. Colgo l’occasione per chiedergli cosa augura a sua nipote per il futuro. “Le auguro di ricevere una buona istruzione, perché solo con quella potrà garantirsi un futuro.”

Questa conversazione mi ha così assorbito che è come se avesse creato in quella stanza una bolla, tutto ciò che è fuori al momento non è importante, ma vengo distratto da una musica assordante proveniente dalla strada. Deve essere uno di quegli altoparlanti bluetooth che spara musica ad alto volume di cui gli indiani vanno matti. È la sveglia che mi riporta al presente e mi ricorda che oggi è il giorno del Holi Festival. In questa festa, che si tiene in tutta l’India, il divertimento praticamente è quello di sporcarsi il più possibile con polveri colorate per celebrare la primavera e la vittoria del bene sul male. 

Per quanto fortemente in contrasto, queste due esperienze di oggi, rappresentano forse la miglior condizione possibile che si possa mai raggiungere: quella dell’equilibrio tra dentro e fuori, tra spirito e divertimento. Forse io devo lavorare un po’ su quella di fuori perché non riesco ad apprezzare il festival come invece sembra che molti facciano.

 - 10 Rivers 1 Ocean
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photo credits: Mauro Talamonti
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