Quando arrivo in cima, sono più alto di tutti gli edifici attorno e mi sembra di dominare il villaggio. L’ultima volta che ebbi questa sensazione fu quando salii sul vulcano Etna e proprio come allora dalla montagna esce del fumo. Qui però il fumo non sale, ma scende, pesante, sulla pianura, sugli alberi e le case che sorgono tutto attorno. Ma la meraviglia dura poco, l’odore anche dietro la maschera protettiva è così forte che trattengo il più possibile il fiato. Urlo al fotografo Mauro Talamonti di raggiungermi velocemente perché è evidente che non riusciremo a stare qui a lungo. Sarà lui a soffrire di più di questa breve visita alla discarica di rifiuti accanto al Gange perché non indossa correttamente la maschera protettiva e per tutto il giorno proverà nausea e bruciore alla gola. Un piccolo prezzo da pagare per chi è curioso di vedere cose che i più fanno finta che non esistano.
È così che comincia la nostra giornata di oggi, immersi nel prodotto di una società legata alle proprie tradizioni religiose millenarie, oberata da pesanti difficoltà quotidiane che la distraggono dalle urgentissime (qui come ovunque) tematiche ambientali. Dall’alto di questa montagna fumante, che sarà l’ultima cosa che vedrò di questo villaggio quando, poco dopo, mi rimetterò in viaggio sulla zattera, mi chiedo quale possa essere la soluzione? Quale futuro?
Non devo attendere tanto tempo prima di ricevere un’opinione interessante. Infatti, a seguito di una serie di eventi imprevisti e sfortunati di cui il maggior responsabile è un forte temporale che mi costringe a trovare riparo presso un villaggio, 20 km più in giù, finiamo per incontrare Kinshuk, il cugino di Boory (la nostra guida locale). È un insegnante di geografia ed è un grande chiacchierone. Ci spiega che in questa zona il governo ha implementato delle politiche a protezione dell’ambiente. A partire dai forni crematori elettrici che andranno a sostituire quasi completamente i burning ghat. Non è solo un problema di inquinamento ambientale, (fumi e ceneri dispersi nell’ambiente), dice, ma anche di inquinamento visivo, infatti molte persone sono disturbate dall’immagine dei corpi che vengono cremati e, semi carbonizzati, buttati in acqua. Si stanno anche costruendo dei luoghi appositi in cui i fedeli posso immergere le offerte e le statuine votive, dove alcuni addetti, poco più in là, raccolgono e riciclano gli oggetti. Così nulla andrà più alla deriva sul Gange.
Ma che fare per l’inquinamento di altro genere?
La sua risposta, folle ma illuminata, mi sorprende. “Siccome su questo fronte i leader politici non hanno dato prova di saper risolvere il problema, spetta ai leader spirituali agire. Pensa se uno di loro domani si svegliasse e dicesse pubblicamente: ho fatto un sogno ieri notte. Shiva è venuto da me e mi ha detto che se non ripuliamo il Gange e non lo cominciamo a trattare da luogo sacro, esattamente come facciamo con i templi, non potremo mai aspirare ad accedere al paradiso. Istantaneamente un miliardo di persone cambierebbe atteggiamento. Con una sola affermazione, si risolverebbe il problema dell’inquinamento di questo corso d’acqua una volta per tutte.”
Io non so se questa possa essere una soluzione, quello che so è che la fede religiosa è una forte leva e uno degli anelli più forti che tiene unita questa cultura così stratificata ed eterogenea.