Rieccomi qui, più o meno là dove avevo lasciato questo diario di bordo. Tre mesi fa, a Calcutta, concludevo la navigazione sul quinto fiume più inquinato di plastica al mondo ed oggi sono qui, a San Francisco (California), in attesa cha la mia navigazione a remi nel più grande ammasso di plastica galleggiante al mondo prenda il via.
Questi primi giorni mi hanno già offerto tanti spunti su cui riflettere (tralascerò il caos che sto vivendo per lo smarrimento di due bagagli. Onestamente, sto facendo di tutto per non pensare alle conseguenze che questo potrebbe causare). San Francisco mi sta offrendo un’esperienza diametralmente opposta a quella di Calcutta. Questa, infatti, è una città con una lunga storia di iniziative ambientali, dall’uso di combustibili alternativi, all’attenzione per la conservazione e il riciclo ed è tra le prime città negli Stati Uniti per numero di aziende che si impegnano in politiche ecologiche. In più, il fatto che sia anche la seconda città più ricca degli Stati Uniti, dimostra che ciò che va bene per l’ambiente può anche essere un bene per le imprese.
Sembra essere la città modello, da prendere come riferimento, e forse per certi versi lo è, ma se si alza lo sguardo e si osserva questo continente nel suo insieme il buon umore passa istantaneamente. Infatti il Presidente Trump, oltre a non riconoscere il ruolo dell’America nella crisi della plastica e ripetutamente cercare di ostacolare gli sforzi internazionali per affrontare il problema, supporta l’industria della plastica liquidando il problema con uno dei suoi proverbiali tweet “La cattiva notizia è che [questa spazzatura] fluttua verso di noi da altri paesi molto lontani e gli Stati Uniti sono quindi incaricati di rimuoverlo e questa è una situazione molto ingiusta”.
Se è vero che l’Asia è ancora la fonte di circa l’80% dell’inquinamento marino dovuto alla plastica, quello che Trump ha omesso di menzionare è che la maggior parte di esso non ha origine lì, bensì proprio qui negli Stati Uniti e in Europa. Se, a questo, si aggiunge il fatto che il riciclo negli Stati Uniti raggiunge solo il 9%, ben al di sotto dell’Europa (30%) e della Cina (25%), è più che evidente che, a proposito di politiche ambientali, gli Stati Uniti sono molto indietro rispetto a molti altri Paesi.
Un’altra cosa che ho notato ascoltando la gente è che, nonostante ormai l’emergenza della plastica non sia più solo un problema ecologico, ma anche di salute, coloro i quali si impegnano a difendere l’ambiente e a ridurre il consumo di plastica mono-uso vengono etichettati come socialisti. Come se la salute dell’uomo o l’accesso all’acqua potabile fosse una priorità solamente per le frange più radicali. A marzo del 2019 un deputato californiano, su Twitter, si era lamentato di una cameriera che aveva chiesto al suo tavolo se volevano veramente le cannucce per le loro bevande, concludendo il suo commento con “Welcome to Socialism in California!”. E questo considerando che più di 480 miliardi di bottiglie in plastica per bevande sono state vendute nel 2018 in tutto il mondo e che meno della metà delle bottiglie acquistate sono state raccolte per il riciclo e solo il 7% di quelle raccolte sono state trasformate in nuove bottiglie.
Gli sforzi per raccogliere e riciclare le bottiglie per impedire loro di inquinare gli oceani, non riescono a tenere il passo. Il momento di risolvere questi problemi è ora e noi come società, dobbiamo davvero considerare se valga la pena rinunciare a qualche comodità in cambio di un ambiente più sano e pulito. Da un lato i divieti e le normative possono essere d’aiuto, ma agire immediatamente da consumatore più consapevole è un passo necessario, se non doveroso. Usare bottiglie e borse riutilizzabili fa la grande differenza. Così come condividere le informazioni e influenzare la comunità intorno a voi può aiutare a modificare il commercio e la distribuzione di materiali in plastica, che a sua volta garantirà il cambiamento. Se le scelte dei consumatori mostreranno che la produzione di massa di plastica non è più redditizia, le aziende saranno obbligate a trovare soluzioni alternative, migliori e più sostenibili per immettere i loro prodotti sul mercato.
Mai come in questa circostanza vale il detto l’unione fa la forza.